- 16 ore di didattica teorico pratica in due giorni
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Le basi della comunicazione
La comunicazione è un processo attraverso il quale vengono condivise informazioni, idee, avvenimenti, comportamenti, opinioni e sentimenti. La comunicazione, dal latino cum = con e munire = legare, utilizza delle regole di base con lo scopo di rendere efficace lo scambio fra un emittente, ovvero colui che trasmette le informazioni e un ricevente, colui al quale sono rivolte, attraverso un canale specifico e un linguaggio codificato decifrabile. Le forme di comunicazione sono moltissime fino ad includere il silenzio e la confusione e possiamo affermare che l’esistenza stessa e il progresso dell’umanità dipendono dalla possibilità di comunicare.
Come funziona la comunicazione
Dobbiamo porci il problema di come realmente funziona la comunicazione, crediamo che l’altro capisca ma non è sempre così. Per poter capire un’altra persona bisogna fare una cosa molto complessa, ascoltare. Si, il processo comunicativo implica saper ascoltare. Ma perché non è così facile? Anche persone con anni di lavoro su di se alle spalle, spesso non sanno ascoltare veramente perché mentre ascoltiamo si inseriscono altri pensieri. La mente è un laboratorio dove compiamo azioni interiori e si verifica un susseguirsi di dibattiti intrapsichici. Le distrazioni che ne conseguono creano disprassia, ovvero la mancanza di gesti mentali coordinati, alimentando qualcosa che va a a discapito di qualcos’altro.
La pratica yoga per citare una disciplina orientale legata all’Ayurveda, si riassume, oltre che con la definizione di esercizio attorno al respiro, in controllo della mente che a sua volta gestisce emozioni, passioni, desideri, ma senza un controllo autoritario, applicando la disciplina del modo di funzionare. Non avendo il controllo sulla mente siamo guidati da intrusioni emozionali, memorie del passato e paure del futuro. E’ normale che le persone non si capiscano, le cose vengono espresse ma diventano altro poiché elaborate attraverso personali filtri attivati inconsciamente. Un atteggiamento maturo di fronte alle situazioni che si verificano tra le persone, richiede comprensione, partecipazione e una sana compassione.
Se l’altro non recepisce il messaggio può voler dire che non mi sono spiegato oppure mi sono spiegato bene ma comunque passa solo una parte del messaggio e poi la persona deve anche ricordare e le memorie vengono trasformate dalle convinzioni. Insomma, comunicare richiede umiltà e considerazione degli altri.
Il dialogo funzionale prevede che l’altro a sua volta esprima cosa ha capito in modo da costruire insieme il processo comunicativo. I dibattiti producono scarsi effetti. Anche il feedback maturo di chi ascolta deve rispettare alcuni principi: chiunque vuol parlare dopo per aggiungere qualcosa, deve prima specificare cosa l’altro ha detto e solo dopo può inserire un ulteriore contenuto. Occorre quindi migliorare le competenze di dialogo e comprensione reciproca.
La comunicazione efficace
Una comunicazione chiara ed efficace contribuisce all’evoluzione dell’individuo e della specie. Ma come possiamo migliorare la comunicazione con gli altri e cos’è la comunicazione efficace? Non è sufficiente articolare bene un discorso, in modo grammaticale e logico sintattico, occorre considerare che esiste una forma di comunicazione della quale generalmente abbiamo meno informazioni:
la comunicazione inconscia. Immaginiamo la mente come un iceberg del quale vediamo solo la parte sopra la superficie dell’acqua. Quella parte è rappresentata dalle parole, dai contenuti che vengono espressi con il canale verbale. Sotto l’acqua risiede un altro enorme pezzo dell’iceberg che non si vede; a questa parte sommersa attribuiamo l’inconscio e le sue reazioni, gli effetti delle parole, il movimento emozionale che il canale verbale suscita.
Ci sarà capitato di ascoltare qualcuno che ha fatto discorsi convincenti esprimendo contenuti in modo chiaro ma poi la sensazione che permane dentro di noi, non è di fiducia, qualcosa non quadra, non abbiamo una percezione positiva.
La parte logica e il subconscio devono recepire un messaggio coerente. Le reazioni post verbale, sono il risultato della decodifica da parte dell’inconscio dei comportamenti di chi parla e diventano sensazioni, anche se non sempre ci fidiamo di quelle intuizioni. Pensiamo a quanto la pubblicità fa leva sulle emozioni tramite l’utilizzo di immagini e musiche ed ecco che una colonna sonora rievoca emozioni e le abbiniamo al prodotto che stiamo vedendo.
Empatia e manipolazione nella comunicazione
La comunicazione empatica si propone di riuscire a far arrivare il messaggio nell’inconscio dell’altra persona usando la giusta frequenza, un linguaggio comune. La manipolazione consiste nell’ingannare l’altro promettendo qualcosa che non viene mantenuto o facendo credere ciò che realmente non esiste. L’atteggiamento empatico mostra apertura e interesse quando qualcuno parla e crea relazione. Empatia vuol dire similitudine. Chi manipola invece può ottenere risultati a breve termine ma a lungo andare si farà terra bruciata intorno e verrà catalogato come una persona della quale non fidarsi.
Valori e convinzioni
L’empatia crea valori, qualcosa in cui si crede. La convinzione crea un loop dal quale non si esce facilmente: gli uomini sono tutti uguali, le donne sono tutte… gli italiani sono…i soldi sono sporchi… e di conseguenza attiriamo persone e situazioni che vibrano in sincronia con il nostro pensiero.
Lavorare sulle convinzioni permette di cambiare la propria vita.
La comunicazione è uno specchio della relazione, se parliamo con qualcuno, il fine è di creare un accordo relazionale anche se la pensiamo diversamente. Un buon comunicatore è totalmente responsabile dei risultati che ottiene ovvero l’onere della comunicazione è di chi parla.
Ogni persona ha la sua mappa del mondo, il suo modo di pensare, questo indica che non dobbiamo mai dare nulla per scontato. Se abbiamo problemi con qualcuno, un contrasto per visioni differenti, finché pensiamo di avere ragione e non ci schiodiamo dalla nostra posizione, dalle nostre convinzioni, non incontreremo l’altro.
La negazione e la ripetizione in comunicazione
Lo studio delle regole comunicative e della semantica rilevano quanto sia determinante e controproducente l’utilizzo della negazione. Se diciamo per esempio: ‘non agitarti’, stiamo portando l’attenzione sull’agitazione. Se invece diciamo: ‘stai tranquillo’, spostiamo l’attenzione sulla tranquillità.
Può sembrare banale ma non lo è, ricordiamoci che la nostra mente è come un iceberg, più del 70% è sommerso!
Altro elemento della comunicazione è la ripetizione. A forza di ripetere, il messaggio entra nell’altro. Prendersi la responsabilità di comunicare e quindi occuparsi che il messaggio sia stato completamente integrato, può richiedere costanza e impegno nel ripetere più e più volte il messaggio.
Questo potrebbe essere richiesto per esempio se stiamo formando un team e stiamo delegando funzioni e competenze che devono essere totalmente integrate ma ahimè, anche la pubblicità usa la ripetizione per tartassarci di informazioni di vendita, i media utilizzano la ripetizione per concentrale l’attenzione su determinati fatti o addirittura per farne dimenticare altri.
Il ritmo nella comunicazione
Vi è capitato di ascoltare una conferenza e constatare che lo speaker parlava troppo velocemente rendendo difficile la comprensione dei contenuti per gli ascoltatori? Oppure in altre circostanze avete assistito ad un’esposizione di contenuti di per se di vostro interesse ma enunciati troppo lentamente, con poca grinta?
Questo mostra che se sbagliamo il tempo, la nostra strategia comunicativa non ha successo. C’è un tempo giusto per ogni scena e riconoscerlo e seguirlo fa la differenza nella costruzione dei risultati della comunicazione. Questo vale anche per il dialogo interno, ragionare non serve se non viene fatto con ritmo.
Pensiamo anche ad un ipnotista, egli conosce e applica così bene il ritmo comunicativo da essere in grado di parlare all’inconscio del profondo con effetti che baipassano le barriere della mente conscia. Quando siamo piccoli i tempi interni cerebrali sono lenti e quello che viene assorbito da un bambino nei suoi tempi va in profondità. Se da adulti parliamo attraverso le nostri parti piccole, se non rispettiamo i tempi del contesto adulto di riferimento non ci facciamo capire.
Il quadrato della comunicazione
Il quadrato della comunicazione è un modello di comunicazione interpersonale che nasce nel 1981 dallo psicologo Friedemann Schulz von Thun, dell’Università di Amburgo. Lo schema comunicativo di Friedemanndistingue quattro aspetti comunicativi diversi, definendo appunto il cosiddetto “quadrato della comunicazione”:
- contenuto - ciò che viene enunciato dalla frase (lato blu del quadrato, in alto)
- relazione - il rapporto tra chi enuncia e il destinatario del messaggio (lato giallo, in basso)
- rivelazione di sé - durante la verbalizzazione del messaggio rivelo anche qualcosa che riguarda me (lato verde, a sinistra)
- appello - l’effetto che il mittente vorrebbe ottenere dal destinatario, esplicitamente o implicitamente (lato rosso, a destra)
Lo scambio di informazioni che coinvolge più persone, è basato su una relazione in cui tutti si influenzano vicendevolmente come in un circolo vizioso e si manifesta attraverso tre canali di emissione e ricezione:
- comunicazione verbale – attraverso l’uso del linguaggio scritto e orale, dipende da specifiche regole sintattiche e grammaticali. E’ legata al contenuto, alla notizia ed è espressa da un insieme di parole scelte da noi
- comunicazione non verbale -senza l'uso delle parole, utilizza canali diversificati, come la mimica facciale, posture, gesti, sguardi. Riguarda il ‘come’ comunichiamo
- comunicazione para verbale -riguarda tono, volume e ritmo della voce di chi parla, pause ed altre espressioni sonore, gesti apparentemente casuali con le mani. Anche il canale para verbale indica il ‘come’ comunichiamo
Gli studi in materia mostrano che nella comunicazione solo il 7% viene percepito dalle parole che l’interlocutore riceve tramite il canale verbale, mentre il 38% viene veicolato dal tono di voce, timbro, cadenza, volume di voce ovvero il canale para verbale. Il 55% del messaggio passa attraverso il canale non verbale dal nostro comportamento, la gestualità e le espressioni.
Quindi mentre le parole rivelano informazioni, idee e contenuti, le modalità di emissione della voce e il corpo inviano altri messaggi che possono essere congruenti o meno con le parole. Nel caso di incongruenza tra canali di comunicazione, la predominanza verrà assegnata al non verbale.
Se pensiamo ad un brano musicale cantato, la maggior parte dei contenuti comunicati vanno oltre le parole, la canzone è l’insieme di suono, voce, respiro, gesti aspetto fisico del cantante, etc.
Impariamo a vedere il processo comunicativo come un’arte e studiamo per comprendere come orchestrare tutti gli elementi al fine di produrre una melodiosa opera!
La comunicazione empatica
La comunicazione empatia definita anche “comunicazione non violenta” nasce nel 1960 dallo psicologo statunitense Marshal Rosenberg il quale sostenne che le espressioni e il modo in cui usiamo le parole sono il principale mezzo tramite il quale riusciamo a mantenere il collegamento empatico con noi stessi e con agli altri.
Il metodo di Rosenberg crea un processo di comunicazione che permette di manifestare maggiore autenticità nella comunicazione, comprensione, interazioni sincere e profonde e risoluzione dei conflitti.
La comunicazione non violenta si basa su tre aspetti:
- auto-empatia - ascolto me stesso stesso, valuto come mi sento senza pensare che qualcun altro sia responsabile
- empatia - ascolto dell’altro senza sentirmi criticato o responsabile del suo disagio
- auto-espressione - esprimo onestamente e autenticamente il mio sentire e i miei bisogni
Realizzare il processo comunicativo secondo i tre principi summenzionati richiede l’osservazione di quattro punti fondamentali:
- osservazione
- sentimenti
- bisogni
- richieste
Osservazione
In questa fase le osservazioni dei fatti restano separate e ben distinte da interpretazioni, giudizi e diagnosi. Chiediamoci se siamo capaci di distinguere i fatti dall’opinione. Siamo così addestrati a vedere il nemico nell’altro che non capiamo veramente quello che ci viene detto, non vediamo le persone ma le immagini a cui le riduciamo attraverso il giudizio.
Krishnamurti, filosofo indiano sosteneva che osservare senza giudicare è la più alta forma di intelligenza umana. Abbiamo l’insana tendenza a valutare gli stimoli che riceviamo nei termini di giusto, sbagliato, normale, anormale, troppo o troppo poco. Pensiamo che esista la giusta e assoluta quantità per tutto.
Con questa forma pensiero definita da Rosemberg “pensiero sciacallo” diventa estremamente difficile risolvere i conflitti. Osservare senza giudicare richiede allenamento, non è qualcosa che facciamo con facilità perché la nostra forma pensiero, la nostra mente separatista ricerca risposte rassicuranti che si basano su schemi preesistenti. Il senso del giusto o sbagliato, poco o troppo, creano dentro di noi l’inganno dell’apparente sicurezza.
Sentimenti
“Quando alzi la voce mi sento intimidito”.
Questa frase non ha niente a che vedere con esprimere i veri sentimenti ma presuppone di sapere cosa l’altro sta facendo.
Espressioni come: mi sento usato, frainteso, manipolato, ignorato, giudicato non esprimono sentimenti. Se prendiamo per esempio il sentirsi ignorati, possiamo osservare che qualche volta questo potrebbe essere un sollievo e in altre occasioni potrebbe farci arrabbiare. Se vediamo un posto di blocco per strada e lo passiamo senza essere fermati, essere ignorati dagli agenti di polizia è un sollievo. Se stiamo parlando con il nostro partner e ci accorgiamo che non sta ascoltando perché è impegnato a chattare sui social potremmo sentirci arrabbiati o infastiditi.
Le espressioni che non dicono come realmente ci sentiamo ma comunicano come interpretiamo i comportamenti degli altri, strumentalizzano i sentimenti per esprimere rabbia e violenza.
Quando comunichiamo non dovremmo dire: “Mi sento cosi a causa tua”
Un esempio di strumentalizzazione dei sentimenti può essere un genitore che dice al figlio: “Mi sento male quando ti comporti così” oppure: “Tu mi fai sentire così..”, e veicola l’intenzione di fare sentire in colpa il figlio.
Prendiamo coscienza che le radici dei nostri sentimenti sono i nostri bisogni. Dietro ogni sentimento c’è un bisogno ma certi sentimenti sonoil veicolo di un modo di pensare astratto. Rabbia, depressione e senso di colpa indicano che abbiamo perso il contatto con i nostri bisogni e che stiamo elaborando giudizi moralistici su qualcuno. La rabbia nello specifico nasce dal giudizio verso gli altri, depressione e senso di colpa si instaurano quando il giudizio è rivolto verso di noi.
Non stiamo vivendo realmente, perché essere vivi significa essere in contatto con i propri bisogni.
I bisogni non si riferiscono ai modi in cui possiamo essere insoddisfatti, quelle sono preferenze o strategie. Impariamo a fare la dovuta differenza fra bisogni e richieste. Colleghiamo i nostri sentimenti ai bisogni da cui nascono, entriamo in contatto con il nostro cuore poiché bisogni autentici costruiscono un autentico ed etico potere nelle relazioni. Così facendo aumentiamo nell’altro il desiderio di collegarsi a noi e stimoliamo la gioia di dare. Siamo cresciuti pensando che il potere sugli altri si ottenga attraverso premi e punizioni e riteniamo vincente indurre gli altri a fare delle cose non perché scaturiscono dal cuore, perché mossi dal desiderio di contribuire al nostro benessere ma per evitare una punizione o ottenere un premio. Per aumentare il potere dobbiamo portare l’attenzione delle persone ai nostri bisogni insoddisfatti per persuadere eticamente a donarci comprensione e amore. Se avanziamo pretese, l’altro si sentirà criticato e non sarà spinto a donare amore ma a chiudersi e difendersi.
Non confondiamo i desideri con i bisogni. I desideri usano strategie per essere soddisfatti, non seguono regole etiche ma tecniche di manipolazione.
Per soddisfare i propri bisogni occorre fare richieste specifiche, ma possiamo essere chiari nelle richieste solo se viviamo nel qui e ora.
Dire quello che non vogliamo non chiarisce ciò di cui abbiamo bisogno. Dovremmo chiederci: “Cosa voglio che le persone facciano e per quale motivo?”
Se crediamo che il soddisfacimento di un nostro bisogno dipenda da una persona creiamo scarsità. Potremmo avere una forte richiesta nei confronti di una persona come soddisfare un bisogno di amore ma questa è una strategia: abbiamo bisogno di amore e la nostra preferenza è che proprio quella persona faccia qualcosa per soddisfare quel bisogno.
Tutti gli esseri umani hanno gli stessi bisogni ma le strategie che sviluppiamo per soddisfare quei bisogni sono differenti: cultura, contesto familiare ed esperienze di vita modellano la nostra personale strategia creando un maschera sociale.
Richiesta
Mi assumo la responsabilità di esprimere con chiarezza una richiesta operativa e fattibile.
Dobbiamo essere molto specifici nelle richieste che scambiamo all’interno delle nostre relazioni. Quando non ci permettiamo di entrare in contatto con i bisogni del cuore e non li esprimiamo chiaramente finiamo per pretendere che l’altro capisca senza neanche esserci espressi. Ma se è difficile per noi chiedere cosa vogliamo che una persona faccia per soddisfare un nostro bisogno quanto deve essere difficile per l’altro capirlo? E’ difficile e talvolta imbarazzante essere chiari ma la violenza deriva in gran parte proprio dall’avanzare pretese come: “Voglio che mi ami”, “Voglio che mi rispetti”… senza chiarire cosa intendiamo vogliamo che l’altro capisca, senza dire niente e pretendiamo che sia disposto a fare ciò che richiediamo.
Le richieste chiare muovono azioni positive, diciamo quello che vogliamo, non quello che non vogliamo. Dire quello che non vogliamo non chiarisce il nostro bisogno e se se vogliamo sbarazzarci di qualcosa, la violenza, nelle sue varie forme inclusa quella comunicativa, diventa una scelta attraente.
Basta leggere le notizie sui giornali e vedere come va il mondo, come si comporta un assassino che vuole sbarazzarsi di qualcuno anche se è una persona a lui vicina o un capo di stato che diventa un tiranno.
Tutto cambia quando ci chiediamo cosa vogliamo che gli altri facciano e per quali ragioni. Un atteggiamento evoluto concluderebbe la sua esposizione dei fatti e l’espressione dei bisognicon frasi del tipo: “Ti prego di fare come ti ho chiesto solo se ti rende felice, non fare quello che ti ho chiesto se pensi di ricevere una punizione o una ricompensa o per senso di colpa o del dovere“. Come possiamo comprendere se siamo di fronte ad una richiesta o una pretesa? Da come veniamo trattati o da come trattiamo nel caso di non soddisfazione di quanto enunciato.
Il ricordo di una punizione conseguita a seguito della non soddisfazione di una richiesta, non spingerà alla gioia di dare ma alla chiusura mentre la richiesta senza pretesa e il lasciare liberi gli altri di esistere nella loro verità indurrà un circolo virtuoso di gioia, benessere e amore reciproco.
Strategia di comunicazione metodo Hridaya
Nel coso degli anni, molti dei miei studenti mi hanno chiesto come potevano imparare a parlare con chiarezza. Le mie personali esperienze, la pratica stessa di molte lezioni in aula, conferenze e presentazioni in contesti differenti tra loro, mi hanno portato alla redazione di un documento, un elenco di punti sui quali lavorare per migliorare la qualità della comunicazione ad una persona singola o ad una platea. Di seguito riporto gli elementi che possono aiutare a costruire la strategia di comunicazione:
- aspetto personale
- introduzione che genera interesse
- sviluppo del tema, messa in risalto delle idee principali e sviluppo logico del discorso
- lettura accurata, dizione e pronuncia
- scelta dello stile di conversazione e qualità della voce
- uso delle pause, volume e modulazione
- entusiasmo, calore e sentimento
- contatto visivo e naturalezza
- messa in risalto del valore pratico
- uso di schemi e scelta delle parole
- estemporaneità e interesse per gli ascoltatori
- esprimersi con convinzione, empatia e fermezza
- riassunti e ripetizioni per fissare i contenuti
- accuratezza e validità comprovata delle affermazioni
- utilizzo di domande, esempi tratti da situazioni consuete, generare emozioni
- utilizzo di ausili visivi
- gestione del tempo e ripartizione dei contenuti
- incoraggiamento degli ascoltatori, invito all'agire e conclusione appropriata
Obiettivi del corso La comunicazione empatica
- Fornire nozioni teoriche sul processo della comunicazione
- Imparare a comunicare in modo empatico
A chi si rivolge
Il corso è aperto a tutti coloro che desiderano integrare le nozioni sulla comunicazione per migliorare la relazione con se stessi e con gli altri
Requisiti
Apertura mentale, interesse e disponibilità all’apprendimento
Programma del corso
- Teoria della comunicazione
- Il funzionamento della comunicazione
- Il tre canali di comunicazione verbale, non verbale para verbale
- Il quadrato della comunicazione
- Rilevazione delle distrazioni nella comunicazione efficace
- La comunicazione empatica di Rosemberg
- Come elaborare la strategia comunicativa
- Esercizi pratici
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